Lettera al Sinodo della famiglia
Il timore nello scrivere a voi, Eminentissimi ed Eccellentissimi Padri Sinodali, è quello di dare l’impressione di voler insegnare come vada affrontata la cura pastorale. E’ certo che non avrei mai preso una simile iniziativa, se il Santo Padre per primo non avesse chiesto di conoscere le condizioni del suo gregge, con una indagine che mi pare voglia realizzare una istantanea delle efettive condizioni del popolo di Dio.
Quella che riporto è quindi la mia testimoniana di marito, padre e perciò educatore, delle difficoltà che incontro e dei bisogni che sento.
Per ognuno dei miei quattro figli, una delle prime grosse difficoltà incontrate è stata trovare favole e film di animazione adatti alla loro persona ancora immatura. In genere si presta molta attenzione a evitare situazioni violente e di forte impatto, e la fascia oraria di garanzia in TV è nata per filtrare questo tipo di immagini, ma perché un bambino possa maturare in uomo responsabile e capace di stare in piedi da solo, è necessario che nel suo mondo fantastico esista, senza confusione, il buono che fa il bene e il cattivo che fa il male.
Poi la realtà con cui l’adulto si confronta, dove deve responsabilmente portare il suo contributo, è ricca di ambiguità e richiede la capacità di valutare in modo sfumato. La difficoltà a vedere la verità, così come il faticoso e impegnativo cammino per raggiungerla e possederla, sono indice del limite umano, della sua creaturalità e della colpa che lo segna all’origine; anche i filosofi pagani hanno affermato che la verità è offuscata dal velo che si frappone tra essa e i nostri occhi. Ma l’uomo adulto sa, lo ha imparato dal bambino che era, che l’ostacolo adombra la verità, non la annienta.
Noi mariti possiamo vivere con slancio l’unione del matrimonio e scoprire con sorpresa che, a dispetto del logorante quotidiano, dopo venti o trent’anni lo slancio è diventato impegno, responsabilità e fedeltà; ma abbiamo bisogno di sapere che la Grazia che ha dato forza alla fragilità è altro dallo sguardo pietoso di Dio, su chi della fragilità porta ferite che sembrano non potersi rimarginare più.
Noi sposi frequentiamo tranquillamente coppie conviventi o sposate in seconde nozze, e l’accoglienza offerta è tale che difficilmente il diverso legame è tra le prime cose che si conoscono; ma abbiamo bisogno di sapere che il matrimonio ha un valore più grande di una vita in compagnia, non è una convenzione sociale per curare la solitudine ma sacramento perché il luogo dell’incontro con Dio.
Noi genitori possiamo accogliere i figli e al calore dello stesso focolare altre coppie che figli non ne hanno per scelta. Che sia egoismo, timore o senso di inadeguatezza, possiamo coprire tutto questo con lo sguardo misericordioso che Dio ci ha dato per far sentire amati i nostri figli; ma dobbiamo sapere che accogliere i figli così come li ha amati e pensati è una ricchezza maggiore, sempre e ogni volta che siamo disponibili, anche quando non ce li affida.
Noi padri vogliamo essere guida ed esempio per i nostri giovani uomini, dilaniati tra il sonno apatico di una cultura nichilista e l’ossessionata corsa per il richiamo incalzante di un futuro modellato dalle nuove frontiere della tecnica, costantemente “più nuovo” di quanto è possibile sopportare, e possiamo essere per loro norma e deroga, possiamo stabilire i paletti che delimitano il confine tra lecito e illecito, disporre, mediare e concedere, tuttavia sbagliando per fragilità umana, per il peccato, piegati dal peso della responsabilità e accettando comunque il nobile compito di educare; dobbiamo però sapere che questa autorità non ce la siamo attribuita da noi, ma è di colui dal quale ogni paternità prende nome (Ef 3,15).
Certo, noi uomini e donne che siamo sposi e quando a Dio piace genitori, tutto questo lo sappiamo già; è il seme sepolto quando Dio ci ha chiamato, irrigato dalla grazia del sacramento, germogliato al calore del suo amore, radicato ignorato da tutti, improvvisamente apparso davanti ai nostri occhi per crescere giorno dopo giorno. Ma abbiamo bisogno che sia anche la Chiesa a dirlo, a ricordarcelo, a rassicurarci che quella esperienza che abbiamo fatto un giorno e sulla quale abbiamo costruito la nostra vita non era una illusione, non è stata l’esaltazione emotiva di una età ancora troppo giovane e idealista; ed è luce e sale della terrra proprio così, non in uno dei tanti modi immaginabili.
Il relativismo dogmatico del pensiero debole; il laicismo eretto a religione di stato; l’ideologia di genere; la delegittimazione della figura di padre e madre per privarli del primario ruolo educativo; il progetto di decostruzione dell’uomo che, per purificarlo da ogni condizionamento, lo disancora progressivamente da ogni realtà fino a quando, perso ogni riferimento, precipiterà in tutte le direzioni senza andare da nessuna parte, al pari della terra descritta da Nietzsche ne La Gaia Scienza dopo che Dio è morto per mano dell’uomo. Questi i nemici che vengono a combatterci; sono come Amalek, mentre la famiglia sta ritta sul colle reggendo il bastone di Dio (cf ES 17,8 ss). Alla famiglia però non basta il legno della croce, la mia famiglia ha bisogno anche della Chiesa che mi offra la pietra dove sedere, che sostenga le mie mani perché stiano ferme fino al tramonto e io possa vedere la vittoria del Signore.
In primo luogo nella mia storia.
Eminentissimi ed Eccellentissimi Padri Sinodali, le mie povere balbettate preghiere, le orazioni di mia moglie Lidia e la lode dei miei bambini perche lo Spirito Santo soffi con potenza sul Sinodo. Imploro la vostra benedizione sulla mia famiglia.
6 marzo 2014